Ecco alcune idee su come fare soldi durante la crisi del coronavirus, dedicate a chi purtroppo ha perso il lavoro o non può più svolgerlo come un tempo.
Fare soldi anche durante la quarantena, necessaria a causa dell’emergenza legata alla pandemia da coronavirus, si può. Chi ha perso il lavoro o chi è impossibilitato a svolgerlo sta correndo alla ricerca di nuovi modi per guadagnare al giorno d’oggi.
Gli istruttori di fitness tengono dei corsi in streaming in cambio di donazioni, esperte di bellezza svolgono consulenze online, DJ creano playlist personalizzate per rendere meno noiosa la quarantena e così via.
Lontani dal distogliere dalla profonda gravità della crisi in corso, il presente articolo vuole fornire qualche spunto a chi è interessato a registrare un qualche guadagno, in tutta onestà, e per bisogno, durante la crisi e la quarantena dettate dal coronavirus. Chi sta facendo o vuole fare soldi lucrando sulla difficoltà delle persone – da chi vende mascherine e Amuchina a prezzi esorbitanti, passando per chi fa leva sulla paura della gente – speriamo sia sanzionato come merita. Tutto il nostro rispetto va, invece, a coloro che sono impegnati a creare aste e a vendere prodotti donando tutto il ricavato in beneficenza.
Ecco qualche idea, al momento in voga soprattutto negli Stati Uniti, per fare un po’ di soldi in un mondo tristemente sconvolto dalla COVID-19.
1) Lezioni di fitness online
Professionisti del fitness, ma anche grandi appassionati della cura del corpo, stanno tenendo delle sessioni di allenamento in streaming, alcune gratuite, altre a pagamento. Molti italiani, si sa, stanno approfittando di questa quarantena per rimettersi in forma, altri sono desiderosi di continuare a tenere il proprio corpo allenato in casa a causa della chiusura delle palestre. Spesso l’offerta è libera, ma è un buon modo per guadagnare in questo periodo.
2) Registrare podcast
In un mondo dove tutti hanno un’opinione su tutto, è opportuno che lo strumento del podcast sia utilizzato solo da professionisti o persone con ampia conoscenza su una qualsivoglia materia. I file audio, condivisi tramite piattaforme specializzate come Spotify, se ben pubblicizzati possono raggiungere migliaia di persone, alle quali può venir richiesto una donazione PayPal per sostenere il progetto.
3) Creare playlist personalizzate
DJ o professionisti del settore di intrattenimento musicale in America stanno offendo un servizio di creazione di playlist personalizzate. La persona racconta i propri gusti, il proprio umore o le proprie necessità ed ecco che viene realizzata una lista di brani musicali ad hoc. Tutto pagato regolarmente, al bando il download illegale di musica, grazie. Un gran bel modo di sostenere i creativi, tra i più colpiti dalla crisi del coronavirus.
4) Offrire consulenze di bellezza online
Molto colpite dalla crisi anche le estetiste, in cassa integrazione o addirittura licenziate a causa della chiusura dei centri estetici, che offrono un servizio ritenuto non essenziale.
Le professioniste della bellezza possono però usare il web per compensare l’incertezza lavorativa in corso nel campo estetico: offrire consulenze online sulla cura della pelle, sul make-up e molto altro.
Lo smart working gioca un ruolo fondamentale in un settore all’opera per fornire assistenza, anche sul fronte dell’emergenza Covid-19
Lo smart working gioca un ruolo fondamentale in un settore all’opera per fornire assistenza, anche sul fronte dell’emergenza Covid-19
E proprio a causa coronovirus il cambiamento, spiega Lelio Borgherese, fondatore del gruppo Activa e presidente di Assocontact, l’associazione nazionale dei contact center in outsourcing, è avvenuto a marce forzate. “Ci è stato subito chiaro che, nel mondo dei call center era necessario tenere insieme due interessi primari e fondamentali”, spiega Borgherese: “Il primo ovviamente era quello della salute e della sicurezza di lavoratori. Ma il secondo era l’interesse altrettanto primario dei cittadini forzati ad una vita domestica, ma che avrebbero continuato a necessitare di assistenza sulle utenze domestiche di luce e gas, sui conti correnti bancari o sui servizi della pubblica amministrazione”.
La rivoluzione chiama
Il primo passo è stato, come per molti settori, l’implementazione di nuove pratiche. “Fin da febbraio, con le nostre associate abbiamo deciso di mettere in sicurezza gli ambienti di lavoro: mascherine e guanti ove possibile, dispender igienizzanti, ma anche contingentamento degli accessi, postazioni a scacchiera e sanificazione periodica”, spiega Borghese.
Sono bastate poi alcune settimane e un paio di decreti di emergenza per portare al cambio di pensiero tra chi, due mesi fa, stentava anche solo a prendere in considerazione l’idea del lavoro da remoto nei call center, ammette Borgherese: “Se a gennaio avessi detto che saremmo riusciti a mettere 10 mila persone in smart working nel giro di dieci giorni, c’è chi mi avrebbe preso per matto. Invece, l’urgenza del momento ha creato la possibilità e ha ammorbidito molte resistenze culturali, anche tra i committenti. Mappando in maniera precisa le dotazioni informatiche delle aziende, ragionando sulla connettività dei singoli lavoratori e avviando un dialogo tecnico con i committenti, ci siamo riusciti”.
La sfida è stata non solo remotizzare parte del lavoro (“ci sono figure, come i tecnici informatici, che non possono lavorare da casa e che con grandissimo senso del dovere, oggi continuano a presentarsi tutti i giorni al lavoro”) ma anche assicurare rigore in termini di privacy e dati sensibili. La cronaca, tuttavia, continua a raccontarci di aziende che forzano i lavoratori di call center a lavorare senza protezioni e, in qualche caso, nonostante qualche caso sospetto: “Non posso che parlare e dare certezze che per la mia azienda e assicurare le buone pratiche condivise con le nostre associate. Purtroppo ci sono casi che gettano ombre su tutto il settore. Ma quanto sta avvenendo non dimostra forse che è possibile assicurare lavoro e sicurezza, nei call center?”.
Numeri verdi in remoto
Una volta avviato il processo di smart-working, Assocontact si è proposta per la gestione di una delle tante crisi nate dal lockdown nazionale: quella dei numeri verdi. “Come sappiamo bene, non solo il numero di pubblica utilità “Covid” 1500 ma anche i numeri emergenziali regionali in un primo momento sono stati presto presi d’assalto e i tempi di attesa hanno superato in molti casi i venti minuti”, commenta Borgherese.
Assocontact ha quindi deciso di proporre l’utilizzo dei suoi consulenti per la gestione dei numeri emergenziali: “Inizialmente avevamo pensato di mettere a disposizione solo una cinquantina di operatori ma presto le chiamate sono quintuplicate e abbiamo raddoppiato la cifra. Abbiamo ora accordi in essere con Puglia e Abruzzo, che coprono essenzialmente i costi vivi del personale. Per le fasi di set up e di formazione ci siamo messi a disposizione gratuitamente”.
Il vantaggio, da parte della pubblica amministrazione, è la possibilità di agire in tempi rapidi con personale formato, sostiene Borgherese: “In una fase d’emergenza con questa, tutti devono fare la propria parte. Per ragioni procedurali e normativi, il settore pubblico ha limitate possibilità di scalabilità del servizio in tempi rapidissimi. Il privato ha invece capacità immediate sia tecniche e di progettazione, sia di espansione del servizio”.
Come molti altri settori in outsourcing, prevede Borgherese, anche molte aziende che offrono servizi di call center e contact center saranno colpite dalla crisi e dovranno accedere agli ammortizzatori sociali in essere, cassa integrazione in primis: “Penso che molti lavoratori, invece di essere costretti a sfruttare ferie, permessi o congedi, oppure vedersi prospettare la cassa integrazione, sarebbero felici di rendersi utili ai loro concittadini, in un servizio per il quale sono specializzati”.
Ovvero, l’assistenza ad una persona che vive una situazione di stress, che magari è arrabbiata e che va calmata, ma anche aiutata velocemente: “Questa è una capacità propria di chi opera in un call center. Noi funzioniamo come centro di smistamento delle richieste, basandoci su materiali certificati e una lista di faq ricorrenti, forniti da regioni e assessorati. Il nostro personale non è medico, ma può rispondere a quesiti informativi e al tempo stesso inoltrare al personale medico solo le richieste necessarie, così da alleggerire con successo la pressione sui numeri di emergenza ed evitare cortocircuiti pericolosi”.
Forte di questa esperienza regionale, Assocontact ha invitato in questi giorni al governo una lettera di disponibilità per la gestione di numero verde nazionale per il supporto psicologico. “Sul territorio stanno nascendo tanti servizi locali, che rispondono ad una necessità evidente di tante persone che vivono con difficoltà l’isolamento. Crediamo che il governo dovrebbe creare un numero nazionale di supporto psicologico e per questo come Assocontact possiamo mettere a disposizione fino a 500 consulenti che gestiscano le richieste in entrata e le girino a medici e psicologi”, continua Borgherese.
Finita l’emergenza, che ne sarà di tutti questi cambiamenti? “I tempi emergenziali ci hanno costretti a cambiare con una rapidità e una violenza che la nostra quotidianità di solito non prevede – conclude Borgherese -. Ma non possiamo pensare che, per quanto riguarda il mio settore, quando torneremo alla normalità da un punto di vista sanitario, sarà lo stesso dal punto di vista lavorativo. Sarebbe come riportare le lancette del tempo indietro”.